Casetti Sergio

Trentino, 56 anni, Sergio Casetti da 15 anni abita a Povo; è sposato, ha due figlie grandi. È entrato nella scuola nel novembre 1970 come insegnante del doposcuola per i ragazzi di Villamontagna, Montevaccino e Tavernaro alle “Bronzetti di Trento”; primo anno da insegnante a S. Vito nel 1974; poi di nuovo alle medie Bronzetti socio fondatore delle classi sperimentali per l’integrazione dei sordi. Preside dal 1986, ha lavorato a Pergine Valsugana per quindici anni;

dal 2001 lavora a Cognola. Nel tempo libero dalla direzione delle cinque scuole della Collina Nord-Est, ama leggere, camminare in montagna, coltivare l’orto e andare al mare. Ogni tanto viaggia per conoscere scuole e persone di altri Paesi

Relazione

Partecipo all’iniziativa di “Collina Est” come dirigente scolastico responsabile delle scuole dell’Argentario. Mi propongo di vedere se, per una volta, non siamo noi che possiamo fare qualcosa nella e per la parte di città in cui abitiamo, superando per un momento l’abitudine di chiedere. Credo infatti che la nostra Amministrazione comunale stia facendo bene quel che deve per le scuole di base del nostro quartiere di cui conosco qualcosa.

Non voglio dire che in assoluto qui siamo al meglio, o che non sia possibile migliorare qualcosa. Purtroppo, in passato le nostre scuole sono state costruite con l’occhio attento molto ai regolamenti edilizi, poco alle regole pedagogiche. Sono fatte per una scuola in cui il maestro parla, l’allievo ascolta; non per studenti in azione per costruire il proprio sapere; non per il lavoro di equipe, ma solo per lezioni in cui uno parla, gli altri ascoltano.

Perciò c’è molto, sempre, da fare, rinnovare, adeguare. Però, guardando a quel che succede intorno, si può ben dire che qui a Trento siamo molto fortunati. C’è un miglioramento quotidiano delle strutture scolastiche che altrove ci invidiano. Noi siamo privilegiati, quanto meno relativamente a quanto accade altrove.

La Roberta, che è maestra a Langhirano, patria emiliana e ricca dei prosciutti, racconta che da loro i genitori all’inizio dell’anno vengono a scuola a dipingere le aule, perché il Comune non ci pensa.

A Verona i bambini devono portarsi a scuola anche la carta igienica.

A Mantova, ci spiega l’ispettrice Magnani, in nessuna scuola c’è la cucina. Tutti si mangia un pasto trasportato preconfezionato.

Nella colta Firenze, ci spiegano gli amici della Scuola Città Pestalozzi, non ci sono bidelli. La cooperativa delle pulizie cessa il suo servizio all’ultimo giorno di scuola e lo riprende al primo.

A Hall in Tirol a mezzogiorno chiudono la scuola; chi deve mangiare per il rientro pomeridiano, si arrangia nei vicini Mc Donalds o si porta un panino.

A Dudley, in Inghilterra, una “Lady” da sola controlla il passaggio in mensa di ottocento ragazzi al self service. In altre città del Nord ricco ho visto i bambini portarsi il pranzo a scuola nella gamella: dalle 8 alle 16 o 17 con un piccolo pasto portato da casa.

In tutta Italia i ragazzi delle media si pagano i libri di testo; da noi sono gratis per tutti. Alle elementari, diamo gratis anche la merenda delle 10. Eccetera eccetera.

Per questo al Sindaco e all’Assessore all’Istruzione, per il benessere della nostra comunità, almeno di quella scolastica, io non vorrei chiedere per ora più nessuna “cosa” speciale. Di quelle, qui, ce n’è abbastanza. Sento piuttosto bisogno che ora noi cittadini, insieme al Comune, un modo più responsabile e autonomo di essere cittadini, per usare al meglio e conservare per il futuro la ricchezza che ci è messa a disposizione.

Detto con parole più altisonanti: occorre individuare “nuove forme di cittadinanza” per un benessere fondato non solo su quel che ci dà l’amministrazione, ma anche sulla partecipazione diretta di noi stessi alla creazione del proprio stesso benessere sociale. Parafrasando uno slogan famoso: non quello che può fare il Comune per noi, ma quel che possiamo fare noi per il benessere comune.

Un modo di partecipare alla gestione della cosa pubblica, anche nella quotidianità, meno dipendente dall’Ente pubblico, che ci porta a sempre chiedere pretendere, rivendicare qualcosa, e più responsabile e autonomo.

Un modo che ci porti a sentire la porzione di Città in cui siamo come una nostra personale proprietà, da condividere con altri cittadini. Comportamenti quotidiani più civili, meno dipendenti da regole e sanzioni e controlli esterni, più invece fondati su una regola interiorizzata. Un modo che consenta alla pubblica amministrazione, fra l’altro, di consumare risorse meno in ciò che i cittadini dovrebbero saper fare da soli e di più nello sviluppo.

Qualcosa stiamo facendo nel nostro Istituto Comprensivo nelle nostre scuole di Cognola, Martignano e S. Vito. Non per caso abbiamo intitolato il Piano Formativo “Creare legami”; un intero capitolo del quale riguarda l’educazione alla cittadinanza e alla convivenza civile.

Cerchiamo di educare gli alunni fin da piccoli, attraverso gesti quotidiani come il cambiarsi le scarpe appena giunti in aula, o il buttare in modo ragionato i rifiuti, al rispetto dei beni della comunità, ad ascoltarci, a rispettare le regole, a muoversi in autonomia; a procurarci il più possibile da noi stessi un benessere delle relazioni nella piccola porzione di città in cui viviamo la nostra giornata.

Insomma: vorremmo abituare i bambini e noi stessi come cittadini che sanno “prendersi su” dei pezzi di benessere collettivo e attendere ad esso senza ordini esterni, assumendoci ciascuno personalmente una parte di responsabilità.

Scrive l’insegnante responsabile del nostro Piano Formativo, discutendo questo intervento: “Forse potresti aggiungere il tema della responsabilità personale e sociale. Perché non sembrino buone azioni o buoni propositi, di cui è pieno il mondo, e si trasformino in azioni responsabili e consapevoli è necessario che ciascuno risponda per sé ma anche verso gli altri. Questo perché costruire comunità e cittadini credo investa non solo un'azione individuale, ma anche un'azione per appartenenza. Farsi carico, non solo come prendere su ma anche come condividere con, compartecipare ad un agire comune, per uno scopo comune. Se agisco da solo mi prendo la mia responsabilità, ma non ne capisco fino in fondo il senso; se agisco perché capisco che è un bene condiviso, comune e comunitario allora non prendo solo su, ma do anche per...”.

Ora dovrei fare degli esempi su come potremmo in concreto fare questa cosa: quali sono i comportamenti da cittadino responsabile?

Ma qui il terreno diventa difficile. Ne verrebbe fuori un elenco di buone azioni dal sapore dolciastro.

Certo, se il “prendersi su” non si traduce in atti quotidiani, resta una chiacchiera. (“Un’idea, fin che resta un’idea, è soltanto un’astrazione. Se potessi mangiare un’idea…”, dice la canzone di Giorgio Gaber). Però tante piccole “piccole virtù” messe insieme, ce l’hanno spiegato scrittori e cineasti, non fanno necessariamente un grande cittadino.