Le manifestazioni e la torre d'avorio

di Frei Betto - 22 giugno 2013

Le recenti manifestazioni di strada in Brasile hanno sorpreso i governi – dei comuni, degli stati e il governo
federale. Le autorità, perplesse, si interrogano: come è possibile? Chi sta dietro tutto questo? Chi li controlla? E
reagiscono con l’unica e sciagurata lezione appresa in 21 anni di dittatura: la repressione poliziesca.
Le nostre autorità si barricano nella torre d’avorio. Come se il Brasile fosse un pianeta distante da questo orbe
terrestre nel quale dovunque esplodono manifestazioni di strada, da Occupy Wall Street a Piazza Tahrir al Cairo,
dalla periferia di Parigi a Piazza Taskim a Istambul.
La domanda “che ci sarà dietro?” troverebbe una risposta se

 il governo prestasse attenzione all’ovvio che ha di
fronte agli occhi: l’insoddisfazione dei giovani. La stessa insoddisfazione che portò la generazione ora al potere
alle manifestazione studentesche degli anni 60 e alla guerriglia urbana degli anni 70.
La stessa insoddisfazione che mobilitò i lavoratori negli scioperi a cavallo tra gli anni 70 e 80 e diede origine al
PT, da dieci anni al comando del paese.
La differenza è che allora la polizia infiltrava i suoi agenti nei gruppi dirigenti studenteschi e nei sindacati, partiti
e gruppi clandestini e, ottenute le informazioni, agiva preventivamente. Ora la mobilitazione avviene attraverso
le reti sociali, che è più difficile controllare (ma non impossibile, come ha dimostrato Snowden, giovane
statunitense, rivelando al mondo che l’Agenzia per la Sicurezza Nazionale degli USA penetra nei computer di
milioni di persone).
Quel che c’è di ovvio è che le nostre autorità hanno interrotto tutte le vie di comunicazione con i movimenti
sociali, al massimo tollerati, ma mai presi seriamente in considerazione. Dove sono le assemblee politiche che
prevedano la partecipazione di leader popolari? E i comitati di gestione? E la Segreteria Nazionale della
Gioventù? E l’Unione degli Studenti? E i canali di dialogo con i giovani?
Asserragliato nella torre d’avorio, il governo si stupisce di fronte a ogni nuova manifestazione: di senza terra, di
indigeni, di utenti dei trasporti pubblici, di persone scontente dell’inflazione, e perfino di fronte ai fischi alla
presidente Dilma, all’apertura della Coppa delle Confederazioni
Chi non dialoga finisce per isolarsi e chiede repressione, come tutti quelli che si sentono messi alle strette.
E’ ora che le nostre autorità lascino la torre d’avorio, mettano da parte i binocoli puntati sulle elezioni del 2014 e
poggino i piedi per terra, nella realtà. La testa pensa dove poggiano i piedi. E la realtà è la stabilità economica
minacciata; la riforma agraria soffocata: le terre indigene invase (dall’agrobusiness e dalle opere sfarzose del governo); l’alleggerimento degli oneri a carico dell’industria automobilistica che prevale sull’investimento
pubblico per il trasporto collettivo; la ricattabilità delle autorità con i fondi neri delle imprese private, ecc.
L’ovvio, quindi, è l’assenza di speranze di questi giovani che mancano di utopie e, quando non si rifugiano nelle droghe, non sanno ancora come trasformare la propria indignazione e rivolta in proposte e programmi politici.

 

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